Le vie romane
Siamo nel 450 a.C.: iene emanata dai decemviri la legge delle 12 tavole: la VII parla del mantenimento delle strade. Questo fa capire l’importanza che i romani davano alle strade: d’altra parte erano conquistatori, fino dalle prime origini.. Gli antichi Romani costruirono lunghe strade per collegare le più lontane province con la capitale. Realizzate il più possibile rettilinee per minimizzare le distanze, queste infrastrutture erano essenziali per la crescita dell’impero, in quanto consentivano di muovere rapidamente l’esercito, oltre che per amministrare territori anche molto lontani e per far circolare rapidamente merci e persone. La viabilità romana costituì il più efficiente e duraturo sistema stradale dell’antichità.
Le più antiche ed importanti strade erano le VIAE PUBLICAE, comunemente chiamate “CONSOLARI” che collegavano le città più importanti. Presero il nome dal magistrato che ne aveva disposto la costruzione: Flaminia (Rimini), Cassia (Firenze), Aurelia (Pisa), Appia, Postumia, Clodia; oppure dal loro utilizzo (Salaria) oppure dal luogo in cui terminavano (Ardeatina). La manutenzione era affidata a funzionari statali.
Accanto alla rete delle viae publicae esistevano numerose strade di interesse regionale, le viae vicinalis o viae rusticae, che collegavano gli insediamenti minori tra cui la Via Emilia Scauri. La manutenzione era affidata alle amministrazioni locali. C’erano infine le viae privatae, di interesse locale e manutenute a spese delle comunità o dei singoli cittadini che le utilizzavano.
Ogni circa 20 miglia (=1000 passi = 1,480 metri) c’erano le MANSIONES, luoghi di sosta per i funzionari pubblici. In mezzo le MUTATIONES per il cambio dei cavalle, muli e buoi. Per i comuni viaggiatori c’erano le TABERNAE, i nostri ostelli.
Per realizzare le strade vennero eseguite importanti opere di ingegneria stradale, ponti, gallerie, terrapieni. Ogni miglio era posizionata una pietra miliare che riportava il chilometraggio e le distanze con le città più vicine.
Per valicare le Alpi Augusto fece costruire la via Julia Augusta (da Piacenza a Nizza ad Arles), la via Publica (o Via delle Gallie) che da Aosta raggiungeva il Piccolo San Bernardo ragiungendo Lione oppure il Gran San Bernardo raggiungendo Martigny. Dunque una organizzazione estremamente moderna. attuale, così come efficaci e appropriate appiano le soluzioni trovate.
Dopo il declino e la caduta dell’Impero Romano le strade consolari andarono generalmente in rovina per il venir meno delle opere di restauro (esondazione di fiumi, frane, crollo di ponti). Diminuzione del traffico. Creazione rete di strade alternative minori.
I Longobardi
Conquistarono gran parte dell’Italia: Alboino, Agilulfo, Rotari, Liutprando, Desiderio. Inizialmente erano ariani, poi divennero cattolici integrandosi bene con le popolazioni italiane. Parte del territorio italiano rimase al papa ed ai Bizantini. Le comunicazioni tra Nord e Sud furono interrotte o rimasero difficili. Fu necessario quindi spostare le vie di comunicazione nella parte occidentale dell’appennino: passo della Cisa e passo del Cirone. La strada principale divenne Lucca / Parma anziché la Cassia Firenze / Bologna. La via lungo la Lunigiana divenne quindi strategiche.
Sorsero moltissimi castelli per la sua difesa. Ricordiamo i nomi di origine longobarda: Radicofani, Montestaffoli (San Gimignano), Salamarthana (Fucecchio), Sorano a Filattiera, castello Aghinolfi a Montignoso. I re longobardi puntarono molto sui monasteri/abbazie regie anche con funzione di luoghi sicuri di sosta, punti di appoggio, spedali per pellegrini e viaggiatori, presenti in gran numero lungo il percorso. E’ quindi attestata la presenza di una importante direttrice viaria a partire dal VII secolo che collegava i due tronconi del regno longobardo evitando le coste e le zone controllate dai bizantini.
Ai secoli VII/VIII risalgono le prime testimonianze di pellegrinaggi provenienti dalla Francia e diretti ad limina Petri. I passi utilizzati erano il Moncenisio e il Gran San Bernardo, i punti più agevoli per valicare le Alpi. Paolo Diacono, nella Historia Longobardorum (789) dice “in quei tempi molti persone nobili e ignobili, uomini e donne, signori e popolani, erano soliti venire, spinti dall’amore divino, dalla Bretagna a Roma”. L’espansione dei Longobardi arrivò a minacciare Roma. Prima Pipino poi Astolfo mossero guerra al Papa che chiese l’aiuto dei Franchi. Intervenne Carlo Magno che determinò l’inizio della fine del dominio Longobardo e avviò il dominio dei Franchi.
La Via che passava dalla Cisa (allora si diceva “per il monte Bardone”) diventò ancora più strategica e si iniziò a chiamarla “Francigena” o “Francesca” perché proveniente dalla Francia.
I Franchi
A quell’epoca venivano chiamati “Franchi” sia i franchi orientali (della Germania) che occidentali (della Francia). Si cominciò a distinguerli solo dopo la fine del Sacro Romano Impero (843) e la divisione dei due territori.
Il primo utilizzo documentato del nome “FRANCIGENA” risale al 876. In seguito il termine fu utilizzato anche per indicare strade che andavano verso Roma e il Nord. I franchi continuarono l’opera di fondazione dei monasteri/abbazie regie: garantire l’assistenza ai pellegrini e ai viandanti era considerato un dovere del re. Dopo l’unificazione dell’Europa centro occidentale sotto Carlo Magno il territorio dell’Italia andò progressivamente a suddividersi in più stati. Questa condizione non favorì certo la costruzione di grande arterie stradali e fu elemento di ostacolo per gli scambi commerciali ed i pellegrinaggi che tuttavia non si fermarono.
Sigeric
Arriviamo alla fine del primo millennio. Siamo nel all’anno 990: Sigeric, vescovo di Canterbury, riceve l’investitura ad Arcivescovo e parte quindi per Roma per ricevere il “pallio”, una stola di lana bianca che da secoli veniva data agli arcivescovi (simboleggiava l’immagine del pastore che si prende cura delle sue pecore come il Cristo si prende cura degli uomini). Si reca a Roma e dopo una breve permanenza ritorna in Inghilterra. In questo viaggio di ritorno scrive un resoconto dei luoghi attraversati e di quelli in cui dormì (conservato alla British Library di Londra). Possiamo quindi ricostruire il con grande precisione il suo viaggio, durato 79 giorni. L’itinerario scelto fu quello dell’antica Via Cassia sino a San Miniato: poi Lucca, il piede delle Alpi Apuane, la Val di Magra, La Lunigiana, il valico dell’Appennino alla Cisa e poi sino a Fornovo. Di qui a Fidenza, Piacenza, Pavia, Vercelli, Ivrea e Aosta con superamento delle Alpi con il Passo del Gran San Bernardo sino a Martigny. Poi Besançon e dritto attraverso la Francia passando per Reims sino al canale della Manica a Suimeran. Del tragitto in terra inglese non è rimasto nulla.
Altra testimonianza di pellegrinaggi viene dall’abate benedettino Nikulas di Munkathvera che negli anni 1151/4 si reca a Roma e poi in Terrasanta lasciando una descrizione in versi dell’itinerario e delle città attraversate. Altra ancora si deve al re Filippo Augusto che nel 1191, di ritorno dalla Crociata, attraversa il sud Italia, raggiunge Roma e ritorna in Francia. Il percorso in Italia sostanzialmente coincide con quello di Sigeric.
I secoli X e XI
Entriamo nel secondo millennio. Iniziano i pellegrinaggi a Santiago de Compostela. La Chiesa dell’epoca favorì i pellegrinaggi, a Santiago ed ai luoghi santi della Cristianità, Roma e Gerusalemme . Il percorso della Via Francigena venne utilizzato dai pellegrini italiani che si recavano a Santiago. E naturalmente venne utilizzata dagli eserciti dei Crociati per raggiungere i porti pugliesi di imbarco verso la Palestina.
In Italia le più frequentate vie di pellegrinaggio portavano a
- Madonna di Loreto (dal XIV secolo)
- Volto Santo di Lucca (VIII) secolo
- San Michele in Gargano (VI secolo)
- San Nicola a Bari (XII secolo)
- Sacri monti
I pellegrini
Chi intraprendeva un lungo pellegrinaggio doveva sistemare la gestione del suo patrimonio e fare testamento. Doveva inoltre procurarsi i mezzi per farlo, vendendo magari beni e proprietà oppure ponendoli (era un diritto) sotto la tutela della chiesa. Chi non ne aveva doveva affidarsi in toto alla pubblica carità.
L’abbigliamento tipico del pellegrino, riportato largamente nelle iconografie, era composto da:
- sanrocchino o schiavina o pellegrina (mantello corto di tela spesso incerata
- cappello largo
- bisaccia
- borsa appesa alla vita
- bordone con punta metallica
- zucca per conservare acqua
- un segno che indicava il luogo di destinazione
Naturalmente era fondamentale la credenziale: rilasciata dalla autorità religiosa dalla quale partiva certificava lo status di pellegrino, titolare quindi del diritto riconosciuto di ricevere assistenza
Il tipo di pellegrinaggio poteva essere:
- devozionale
- obbligatorio per redenzione di un peccato (confessori)
- obbligatorio per scontare una pena (dato da giudice)
- sostitutivo (per altra persona)
Gli ordini cavallereschi a tutela dei pellegrini potevano essere spiccatamente religiosi:
- frati del Tau – avevano conventi in genere vicino ai fiumi, con il compito di curare la manutenzione dei ponti
- Ordine di Santo Spirito
- Betlemiti
- Cruciferi
- Antoniani
ma anche spiccatamente militari
- Ospitalieri di San Giovanni
- Cavalieri Teutoni
- Templari (poi ordine di Malta)
Sino dai primi secoli della cristianità (VI secolo) iniziarono ad essere disponibili luoghi di accoglienza chiamati xenodochi, destinati prevalentemente ai pellegrini ed ai viaggiatori. Successivamente furono chiamati ospitali / spedali e divennero luoghi destinati ad infermi, pellegrini, forestieri, poveri, trovatelli. Non erano locali separati ma strutture annesse a chiese e monasteri ed erano poste prevalentemente nei centri urbani importanti e negli importanti snodi viari. Alcuni erano piccoli, una stanza e nulla più. A partire dal secolo XI e XII sorsero strutture di assistenza più specializzate, veri e propri complessi ospedalieri (vedi Altopascio)
Il secolo XIII
Nel secolo XIII si consolidò e si affermò l’importanza della VF per i commerci e le attività finanziarie ad essa collegate, per chi si recava a Roma o in Francia e oltre. come anche per che abitava in luoghi facilmente raggiungibili da strade che partivano da questo asse viario. La VF fu quindi uno dei principali fattori che contribuirono allo sviluppo della vita economica e sociale dell’Italia del Medio Evo. Chiaramente nel tempo furono creati percorsi alternativi per passare le Alpi (Sempione, San Gottardo, Brennero) e gli Appennini. Inoltre il principale percorso vide sorgere varianti di percorso: di qui il nascere di più Vie Francigene.
Si pose naturalmente il problema della manutenzione delle strade ed anche del controllo del passaggio con l’applicazione di eventuali pedaggi/gabelle.
Il XIII secolo aveva visto una certa diminuzione del flusso di pellegrini a Roma: non Santiago per il quale fu il secolo di maggior affluenza. Nel 1300 papa Bonifacio ottavo indisse il primo giubileo che portò un grandissimo numero di pellegrini a Roma e fu l’inizio di una ripresa della pratica dei pellegrinaggi. Giovanni Villani dice che arrivarono a Roma 200.000 persone, che il ponte Sant’Angelo fu diviso in due corsie per consentire il passaggio più rapido delle persone; aggiunge infine che in quegli anni a Roma c’erano 30 ospitali con 1000 posti letto. Aumenta anche il numero delle testimonianze di viaggi e pellegrinaggi.
In questo secolo inoltre la direttrice Firenze / Bologna diventa prevalente. Il passaggio di pellegrini lungo la VF ebbe l’effetto culturale che ogni circolazione di persone determina sempre perché mise in relazione paesi, culture, lingue, usanze diverse. Con la loro stessa presenza e con il loro ritorno a casa i viandanti spezzavano l’isolamento delle comunità.
Assieme a uomini e merci la VF veicolò idee facendo circolare i modelli elaborati dai principali centri di cultura del Mondo cristiano europeo e mediterraneo: modelli estetici, moduli costruttivi, ideologie politiche, movimenti religiosi poterono così diffondersi più agevolmente in tutta Europa
VIA FRANCIGENA MODERNA
Con il termine VF non si intende dunque una semplice strada, mappabile con precisione sul territorio, ma un percorso, un fascio di percorsi che nel tempo potevano cambiare e che nei secoli ha costituito il collegamento tra l’Italia peninsulare e la pianura padana e, oltre le Alpi, con la Francia e gli altri paesi dell’Europa nord occidentale.
Di VF si è cominciato a parlare verso la metà degli anni ’90: il Giubileo del 2000 può essere considerato l’anno chiave. In quell’anno furono moltissimi i pellegrini, che, individualmente, in gruppetti o organizzati in gruppi parrocchiali, partirono alla volta di Roma. Per l’occasione la chiesa aprì parrocchie e conventi. Molti sindaci misero a disposizione palestre e scuole per il periodo estivo. Lo stato investì 3.500 miliardi di lire che andarono in gran parte a Roma e al Lazio. Fu finanziata anche una lunga serie di interventi in varie parti d’Italia e riguardò principalmente il restauro di strutture religiose. Furono restaurati dai comuni anche alcuni edifici ad uso ostello: solo alcuni però rimasero stabilmente come patrimonio dei pellegrini.
Nel 2001 viene costituita l’Associazione Italiana della Via Francigena, i cui soci sono le regioni, le province ed i comuni italiani attraversati dal percorso. Nel 2007 l’associazione si apre agli enti locali svizzeri, francesi ed inglesi e diventa Associazione Europea.
Il Consiglio d’Europa nel 2004 dichiara la VF “Grande Itinerario Culturale”.
Nei primi anni del 2000 diverse associazioni, variamente distribuite nel territorio, si impegnano a individuare e segnalare il percorso. In assenza di un coordinamento in molti tratti appaiono percorsi diversi, indicati con segnaletica di vari colori e forme. La confraternita di San Jacopo di Compostella di Perugia pubblica una guida e vorrebbe essere il riferimento delle varie associazioni presenti in Italia.
In quegli anni prima il Ministero della Cultura (ministro Rutelli), poi il Ministero delle Politiche Agricole (ministro De Castro), poi ancora dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Ministro Bondi) lavorarono per l’individuazione di un preciso percorso. Fu quindi dato ad una società privata l’incarico di proporre, in accordo con gli enti locali territoriali, un percorso della Via adatto a chi la volesse percorrere a piedi. I criteri erano:
- Seguire l’itinerario di Sigeric facendo quindi coincidere il percorso, per quanto possibile, con quel tracciato storico
- Toccare, a meno di dover fare deviazioni eccessive, i luoghi storicamente più importanti
- Cercare percorsi il più possibile lontano dal traffico che permettessero quindi di camminare in sicurezza
Venne individuato ed ufficializzato il percorso, in un processo che ha scontato l’indifferenza di molte amministrazioni comunali che hanno purtroppo fatto mancare una attiva collaborazione.